Il Centro Papa Giovanni XXIII di Ancona è un’associazione no profit che da 23 anni si occupa di persone con disabilità. Noi della redazione di SB OnLine abbiamo deciso di intervistare Marco Trillini, dell’ufficio comunicazione, per capire meglio le dinamiche del Centro e, perché no, per farlo conoscere un po’ a tutti gli studenti e a tutte le famiglie del Savoia Benincasa. Buona lettura!
SB: Per prima cosa non tutti i nostri lettori conoscono il centro Papa Giovanni XXIII in Ancona, ci potresti spiegare di che realtà stiamo parlando e di cosa si occupa?
Marco Trillini: Il Centro Papa Giovanni XXIII è una realtà che dal 1997 in Ancona si occupa di persone con disabilità. Ai suoi esordi era una piccola associazione, ma nel tempo è cresciuta molto, fino ad oggi, in cui la cooperativa gestisce due centri diurni, due comunità residenziali, e l’ultimo servizio che abbiamo inaugurato è “casa sollievo” (di cui parleremo più tardi).
Per quanto riguarda i centri diurni, sono centri in cui le persone arrivano la mattina, restano al centro fino alle 16 circa, svolgendo diverse attività, fra un ventaglio di offerte che scelgono loro, e poi tornano alla propria famiglia.
Per quanto riguarda le comunità residenziali, sono delle vere e proprie case, delle famiglie in cui vivono diverse persone con disabilità.
Casa sollievo, invece, è un appartamento di pronta accoglienza che può ospitare fino ad un massimo di 5 persone con disabilità e che risponde a tre bisogni fondamentali: il desiderio delle persone con disabilità di provare una vita fuori dal proprio nucleo famigliare (come tutti noi), il secondo bisogno è quello delle famiglie di poter vivere dei momenti di sollievo in cui “ricaricarsi” e trovare la giusta energia e la terza necessità è quella di rispondere alla paura delle famiglie di non trovare un luogo adatto ai propri figli nel caso in cui dovessero ritrovarsi in situazioni di emergenza.
SB: Il personale che lavora al Centro è costituito da volontari o da dipendenti?
MT: La cooperativa ha dei dipendenti, sia per quanto riguarda l’occuparsi direttamente di persone con disabilità, quindi educatori ed OSS [“operatore socio sanitario” NDR], ma anche specialisti che vengono per le singole attività; mi viene in mente la piscina (quando ancora era aperta e se un domani potremmo tornare a farla, come spero da bagnino!-). Abbiamo anche tanti volontari che ci aiutano in tantissimi modi: quindi ci sono sia volontari che stanno direttamente con persone con disabilità (magari accompagnandoli nelle uscite), sia volontari che vengono ad effettuare piccoli interventi di manutenzione oppure ci aiutano nella raccolta fondi, ad esempio adesso che siamo sotto Natale con la distribuzione dei torroni solidali.
SB: Com’è organizzata la routine degli ospiti? E quella del personale?
MT: Allora, diciamo che definirla “routine” è giusto, ma allo stesso tempo le giornate sono tutte le une diverse dalle altre, perché c’è un’ampia scelta di attività che si possono fare: all’ospite non viene cucito addosso un vestito e quello rimane… Le persone possono, nei limiti del possibile, scegliere l’attività da fare. Ad esempio ci sono attività di problem solving, attività motorie come palestra e piscina, attività a carattere musicale/espressivo/teatrale, attività informatiche e di acquisizione di autonomia come ad esempio imparare a fare la spesa o ad utilizzare il denaro o ad usare i mezzi pubblici, e addirittura ci sono momenti in cui in gruppo si va sui social, si guardano gli argomenti che interessano ai nostri ospiti e si interagisce con gli altri.
Tutto ciò che può contribuire a dare ai nostri ospiti le tre parole che noi riteniamo fondamentali che sono autonomia, dignità ed integrazione.
Per quanto riguarda il personale, dipende molto dal ruolo che riveste, ad esempio chi, come me, lavora in ufficio, si occupa di comunicazione e raccolta fondi. Chi ha un tipo di giornata a stretto contatto con le persone con disabilità, ha un altro tipo di routine. Discorso a parte è per chi lavora nelle comunità residenziali, perché poi lì le persone hanno bisogno di educatori ed OSS 24/7, quindi magari hanno una turnazione diversa da chi sta nel centro diurno o da chi sta in prevalenza in ufficio.
SB: Il Coronavirus come ha impattato sui vostri ritmi; per esempio avete dovuto rinunciare a qualche progetto oppure siete riusciti a trovare una normalità in questa anormalità?
MT: Il Coronavirus è stato come per molti un problema non da poco. I nostri centri diurni, così come quelli di tutta Italia, sono stati chiusi; mentre sono restate attive le comunità residenziali perché quelle sono a tutti gli effetti le case delle persone che ci abitano, quindi sono servizi essenziali che non possono e non devono chiudere. Per quanto riguarda le comunità residenziali, seppur con difficoltà, sono andate avanti con mille attenzioni, con continue igienizzazioni, continuo uso della mascherina (soprattutto da parte degli OSS e dei dipendenti), continue sanificazioni degli ambienti. I centri diurni sono stati chiusi e il personale della cooperativa ha cercato in qualche modo di supportare le famiglie telefonicamente o, DPCM permettendo, con qualche passeggiata. Abbiamo cercato di aiutare delle famiglie che si sono ritrovate a dover gestire un familiare con disabilità tutto il giorno, mentre prima questo familiare per una gran parte della giornata stava al centro.
SB: Quando le Marche sono diventate zona arancione, i centri diurni erano comunque aperti o avete dovuto chiudere un’altra volta?
MT: Eravamo funzionanti, i centri diurni erano aperti, solo durante il lockdown vero e proprio sono stati chiusi (marzo/aprile). Una volta riaperti non abbiamo più richiuso, almeno fino ad adesso, incrociando le dita…
SB: A livello psicologico, gli ospiti ne hanno risentito o sono riusciti ad adattarsi alle nuove regole come ad esempio all’uso della mascherina?
MT: sicuramente occupandoci di circa 45 persone, anche le singole casistiche sono molto diverse l’una dall’altra; alcuni hanno un grado di adattamento maggiore, altri minore. C’è da dire che tutti, comunque sia, si sono mostrati abbastanza pronti a mettere la mascherina come anche ad adottare delle precauzioni che prima non erano abituati ad usare. Il periodo di lockdown, effettivamente, a livello psicologico e di mancanza della routine quotidiana, è stato un po’ duro per tutti perché non potere vedere i propri amici e gli educatori con i quali condividono il proprio percorso è stata dura, stesso discorso vale anche per gli educatori ovviamente.
SB: Qual è l’età media degli ospiti?
MT: L’età media è abbastanza alta, quando parliamo tra di noi, diciamo dei “nostri ragazzi”, ma in realtà parliamo di persone adulte. Abbiamo un utente sotto i 30 anni, undici utenti fra i 30 e 40 anni, 24 utenti fra i 40 e i 60 e nove utenti che hanno più di 60 anni.
SB: Secondo te come mai l’età media è così alta?
MT: In realtà un po’ dipende dal fatto che magari ci sono altre realtà che si occupano di disabilità in età più bassa e anche perché, finché dura il periodo scolastico, il bimbo o ragazzino con disabilità sta all’interno dell’ambiente scolastico. Forse dipende dal fatto che molti dei nostri utenti sono con noi da tanto tempo, quindi all’inizio erano ragazzi e poi con l’andare degli anni sono diventati adulti. Così come gli educatori del resto.
SB: Cosa ci sai dire per quanto riguarda la ristorazione solidale?
MT: È il progetto per cui siamo più conosciuti perché è una ristorazione a tutti gli effetti. Nasce nel 2012 e in sostanza coinvolge uno chef professionista, degli educatori e alcune persone con disabilità. Offre servizi di catering e cibo da asporto; prima del Covid era anche possibile mangiare da noi, si potevano prendere delle sale in affitto e c’erano degli eventi come il pranzo di Natale o altro in cui era possibile stare da noi a mangiare.
È una ristorazione che comunque funziona, che adesso sta proponendo dei bellissimi menù per San Silvestro e Capodanno. A noi piace dire che è una ristorazione buona tre volte perché: uno, offre una possibilità di lavoro, di indipendenza e di autonomia alle persone con disabilità, due perché è una parte del ricavo sostiene il centro e le attività, e tre perché effettivamente è buona, gustosa e abbondante [e garantisce la stessa Editorialista che firma questa intervista, per averne beneficiato più volte NDR]. La ristorazione solidale è sempre andata avanti perché comunque sia forniva i pasti a chi vive nelle comunità residenziali (primo servizio che offre). Abbiamo trovato il modo di restituire un po’ del bene che la città ci vuole, tanto che, durante il lockdown, abbiamo preparato dei pasti per la croce rossa di Ancona.
SB: In questo momento state portando avanti altri progetti?
MT: Il progetto “di punta” e che ci interessa per tutto il periodo natalizio, è il progetto “Portaci al centro”, una campagna di raccolta fondi che servirà ad acquistare un nuovo pullmino attrezzato per persone con disabilità. Perché i pullmini di cui già disponiamo sono datati e cominciano ad essere usurati e le persone di cui ci occupiamo hanno bisogno di mezzi attrezzati, nuovi e sicuri, sia per arrivare al centro nel caso in cui ci vivano, sia per poter uscire, nel caso in cui vivano nelle comunità residenziali.
I mezzi attrezzati significano libertà per i nostri ospiti, quindi sono fondamentali. Questo progetto si concretizza nella raccolta fondi, è possibile venire da noi ad acquistare il torrone solidale che sostiene questo nuovo progetto.
SB: Noi nel nostro piccolo, come possiamo darvi una mano?
MT: Di modi ce ne sono tanti, nel senso che uno pensa che bisogna per forza donare dei soldi, ma in realtà, se ci pensi, una delle cose più preziose che abbiamo è il tempo, quindi anche semplicemente donare tempo e diventare volontari del centro, è una buona cosa, molto gradita e di cui ringraziamo sempre, perché senza i nostri volontari, non potremmo fare ciò che facciamo, né a livello di uscite, né a livello di raccolta fondi.
Poi quello che ognuno può fare è darci visibilità: parlare di noi con i propri compagni, con i propri genitori, oppure visto che siamo attivi sui social (e me ne occupo proprio io) un like, un commento, una condivisione, la visione della storia su Instagram, fanno in modo che sempre più persone ci vedano e sempre più persone conoscano il centro e l’attività che svolge e sempre più persone magari un domani decidono di diventare donatrici, di tempo, di fondi, di beni o di qualsiasi altra cosa. Insomma dovete “diventare un po’ i nostri influencer“!
SB: Mentre invece per diventare volontari, ci sono dei requisiti fondamentali?
MT: Di solito valutiamo un po’ di volta in volta, per esempio adesso abbiamo fatto una campagna di people raising, volta a trovare volontari e l’abbiamo fatta nel periodo pre-natalizio per trovare volontari che ci aiutassero nella distribuzione dei torroni solidali.
Per quanto riguarda il volontariato direttamente con i nostri ospiti, al momento è sospeso perché chi effettivamente sta con le persone che ospitiamo, deve avere dei requisiti particolari, deve sottoporsi con certa frequenza ai tamponi e quindi non è possibile permettere l’accesso dei volontari all’interno dei locali.
Speriamo che, quando la situazione si normalizzerà, si potrà ricominciare anche con quest’altro tipo di volontariato. Comunque c’è anche una sezione sul nostro sito, si può compilare un form e ci arriva la richiesta e poi, normalmente nel giro di breve tempo, il nostro responsabile dei volontari vi contatta.
La chiacchierata è stata più lunga di quel che pensavo e, anche se di informazioni da chiedere ce ne sarebbero ancora, ci salutiamo, lasciandoci però con l’impegno reciproco di risentirci…
Come buon proposito per questo nuovo anno 2021, la redazione di SB OnLine ti invita a fare un gesto solidale, sostenendo il centro Papa Giovanni XXIII. È possibile comprare il loro torrone solidale, oppure ordinare da loro il cenone o il pranzo di capodanno, oltre che sostenerli sui social. Perciò qui vi lasciamo il link al loro sito e alla pagina Instagram e Facebook.
https://www.centropapagiovanni.it/default.aspx
https://www.facebook.com/centropapagiovanni/
https://www.instagram.com/centropapagiovanni/
LAURA GALASSO, 4B ESABAC
One Comment
maddalena.mannucci
Trovo che il lavoro di quest’associazione introduca all’interno della nostra realtà locale delle iniziative molto interessanti e efficaci per l’inclusione. Il Natale è una festa che rappresenta la condivisione familiare, o più ampia, e la Bontà, ma spesso manca un tassello in questo puzzle per vivere gioiosamente queste festività. Il Centro Papa Giovanni XXIII ha dato un’opportunità a coloro che si sentivano abbandonati a loro stessi, costruendo loro una seconda famiglia, dove potersi ritrovare con altre persone, per condividere dei momenti di serenità. E fornisce a ciascuno di noi la possibilità reale di sentirsi utile, parte di un organismo cittadino: GRAZIE Centro Papa Giovanni XXIII!