Oggi l’Italia sta vivendo una drammatica battuta d’arresto, ci si trova infatti nel pieno della peggiore crisi dal Dopoguerra. Allo stesso tempo come ci ricorda Matteo Renzi, nel suo ultimo libro “La mossa del cavallo”, “dopo la peste, [viene] il Rinascimento”.
La storia in realtà insegna che da un male può sempre nascere un bene, e il bene arriva prima di tutto con la consapevolezza. Da tutte le esperienze si può trarre un insegnamento, per questo anche la pandemia Covid 19 può essere una grande opportunità, purché si comprenda finalmente il limite umano e il margine di intervento che ci rimane.
Il noto psicoanalista, saggista e accademico Massimo Recalcati nel suo breve saggio, intitolato “No alla generazione Covid”, evidenzia che sebbene questi siano tempi duri, allo stesso tempo “è proprio dalle cadute, dai fallimenti, dalle sconfitte che si generano i maggiori effetti formativi (…); ciò che stiamo vivendo sotto il “terribile magistero del Covid 19” non è altro che un riflesso delle difficoltà della vita e un momento propizio per rispondere con determinazione per curare questa ferita.
Secondo Recalcati, sostanzialmente: “ogni processo autentico di formazione non è mai un percorso lineare, privo di avversità”: di conseguenza sta a noi rispondere al trauma e rialzarci.
Proprio in questa logica è nato il progetto KUM! di Recalcati che è stato presentato ad Ancona presso la mole Vanvitelliana il 18 Ottobre 2020.

Un’interessante istallazione del Lazzaretto anconetano che rappresenta una “Danza macabra”: un suggerimento di come concepire la morte e reagire ad essa?
La parola KUM rintraccia le sue origini nell’antichità, infatti essa ricorre più volte nel testo sacro della Bibbia. Il Kum aramaico, pronunciato anche da Gesù in persona, si traduce con: “alzati”, “svegliati”, un imperativo che pretende ed esige una ripartenza. Pertanto si tratta di una parola in grado di sintetizzare in sole tre lettere il senso generale della cura, ovvero quello di permettere la ripartenza, riaprire in modo diverso lo sguardo sul mondo e ridare il via alla vita.
Come fare quindi per ripartire? E da cosa iniziare? Forse da ciò che abbiamo sentito più di tutti mancare durante la pandemia, ci riferiamo al contatto con gli altri, e più in generale alle relazioni sociali.
Le conseguenze della crescita esponenziale dei contagi sono state severe e ci hanno colti impreparati. Ciascuno di noi ha dovuto rinunciare o limitare le frequentazioni con le persone con le quali eravamo abituati a condividere gran parte della nostra quotidianità, le persone a noi più care. Il disorientamento, lo stress e la rabbia sono tutti fenomeni che si sono manifestati in seguito allo stravolgimento, dovuto alle misure sanitarie, di ogni nostra abitudine personale e sociale.
Le categorie che più di tutte hanno sofferto in questo periodo sono stati gli adolescenti e gli anziani.
In particolare questa situazione è stata vissuta da molti anziani come un vero e proprio abbandono che ha aggravato le loro condizioni psicologiche, facendoli inabissare in un precipizio di paure e preoccupazioni.
Una ricerca svolta dall’Università di Copenaghen ha dimostrato che invece sono stati i più giovani ad essere colpiti in maggior misura da stress, tristezza e profondo senso di solitudine, nel periodo del lockdown.
L’adolescenza è per di più un momento critico per la formazione di una persona: in questa età il ragazzo/a inizia a prendere decisioni che poi definiscono il suo carattere, facendo bagaglio di tutte le esperienze vissute nel sociale, con amici, docenti, modelli esterni alla famiglia ecc. Per questa ragione molti giovani, dimostrano l’estremo bisogno di contatto fisico e di trovarsi in mezzo ad un gruppo di persone. Dal momento in cui queste condizioni vengono a mancare, sorgono enormi disagi. “Togliere la socialità in questa fase – come spiega la dottoressa Cerruti, specializzata in psicologia infantile – significa togliere il motore della vitalità, perché è il momento in cui gli investimenti emotivi devono essere fuori casa”.
Con l’isolamento i ragazzi non hanno solo perso il contatto con le persone a loro più vicine, ma anche quei luoghi, dove trascorrevano gran parte della giornata, primo fra tutti la scuola.
“Non ci siamo mai accorti così tanto dell’importanza della scuola, come da quando siamo stati costretti dall’emergenza sanitaria a chiuderla.” Queste le parole di Recalcati rispetto alla chiusura delle scuole, imposta dai vari DPCM. Nonostante questo la scuola non si è fermata, è rimasta aperta grazie alla didattica a distanza (DaD) e questo ha permesso agli studenti di non perdere di fatto un anno.
Tuttavia docenti e studenti, cioè i veri “addetti ai lavori”, hanno manifestato diverse perplessità sui limiti di questo modello didattico. Una ricerca compiuta da IPSOS ha mostrato conseguenze disastrose della chiusura delle scuole e del loro funzionamento a intermittenza, per quanto riguarda la didattica in presenza.
Il 35% degli intervistati ritiene che la propria preparazione scolastica sia peggiorata. E per il 46% quello passato è stato “un anno buttato”. Il principale problema riscontrato è quello legato alla difficoltà di rimanere concentrati per seguire le spiegazioni dei docenti attraverso uno schermo e dai problemi tecnici causati dalla connessione internet. Altro dato da non sottovalutare è quello riguardante le dotazioni: quasi il 18% dichiara in particolare di aver a disposizione un dispositivo condiviso con altri familiari e l’8% si trova a frequentare le lezioni in una stanza con altre persone. “La didattica a distanza è la benzina gettata sul normale disagio giovanile”. Queste le parole del professor Furio Ravera, psichiatra e psicoterapeuta.
La didattica a distanza infatti ha aggravato la situazione di tutti quei soggetti che già soffrivano di depressione, ansia e solitudine. Se c’era già in atto una tendenza depressiva questa situazione di reclusione ha portato sicuramente ad un peggioramento generale. Di conseguenza si sta assistendo ad un aumento di atti di autolesionismo, rabbia, abuso di droghe e disturbi legati all’alimentazione.
Il primo insegnamento che possiamo trarre dalla pandemia ossia l’importanza della socialità, effettivamente viene a volte trascurata, ma, come diceva Aristotele, “l’uomo è un animale sociale”, cioè ha bisogno di costruire relazioni interpersonali e di vivere con i suoi simili.
Essendo nati e cresciuti con l’affetto “onnipresente” dei nostri cari, l’appagamento del bisogno di socialità di ognuno di noi era dato per scontato, come se non potesse essere mai “intaccato” da alcunché; la pandemia ci ha insegnato che non è così, spaccando famiglie sia per l’isolamento di alcuni membri sia per lo stress psicologico, dovuto a una convivenza a volte “forzata”. Insomma il lockdown imposto dall’emergenza sanitaria ha smascherato le nostre fragilità più profonde e più nascoste e ha messo in luce i nostri bisogni più essenziali. Appurato ciò, non possiamo pensare che la pandemia sia stata solo una sfortuna, un brutto momento che finirà e tutto tornerà come prima, perché “ANDRÀ TUTTO BENE”… Dobbiamo invece pensare che la pandemia è stata ed è tutt’ora un’occasione per riflettere, per conoscerci e per poterci migliorare: solo così potrà verificarsi una RINASCITA! D’altronde anche la mitica fenice per risorgere deve, prima, diventare cenere… Parola d’ordine? KUM!
DAVIDE AGOSTINELLI, GIOVANNI FRATINI, LEONARDO NOVELLI e MASSIMO PUTTI, 5B ESABAC
5 Comments
Nicole Piatanesi
Ho trovato questo articolo davvero molto interessante e pieno di spunti di riflessione.
Molti pensano che questo sia solo un brutto periodo che dobbiamo dimenticare e andare avanti, ma in realtà la cosa migliore da fare è cogliere gli insegnamenti che ci vengono dati. L’umanità ha sempre superato tutte le difficoltà, questo dovrebbe spronarci a migliorare quello che stiamo facendo e affrontare il periodo con motivazione e determinazione, senza lasciarsi abbattere dalle influenze negative a cui siamo esposti.
Ognuno di noi in un periodo tragico come questo dovrebbe cercare cogliere gli aspetti positivi e non considerare il tempo in cui siamo stati chiusi in casa, o limitati, SOLO come “tempo sprecato”, così da poter riuscire poi a “rinascere” e affrontare il resto della nostra vita al meglio.
Riccardo.cesaretti
La pandemia è stata oggettivamente una tragedia in tutti i sensi, ma come spiegato nell’articolo, ci ha fatto riflettere molto e ci ha fatto fare un passo indietro: prima si dava tutto per scontato, dalle uscite con gli amici, allo sport, ecc.. e ci siamo resi conto dell’importanza di queste cose solo quando ce le hanno tolte. Noi giovani, a mio parere, siamo stati i soggetti più danneggiati dalla pandemia perché stiamo in un certo senso “perdendo” gli anni migliori della nostra vita ingiustamente, ma alla fine questa è la realtà e la cosa migliore da fare è adattarsi. Speriamo che anche dopo il Covid-19 ci sarà un Rinascimento, come successo in seguito alla peste, perché in un momento storicamente così fragile ne abbiamo veramente tanto bisogno.
ranim.boukef
Un articolo molto interessante e soprattutto che racchiude molti significati, descrivendo bene la situazione che stiamo passando. “La storia in realtà insegna che da un male può sempre nascere un bene, e il bene arriva prima di tutto con la consapevolezza”: bellissima questa frase, fa ripensare a tutte le cose che abbiamo studiato ed effettivamente è così. È proprio vero, tutta questa situazione ha aggravato le nostre condizioni psicologiche e questo “Rinascimento” viene visto come qualcosa di lontano ed irraggiungibile. Quando tutto sembra andar bene, tutto ricambia ancora peggiorando e sembra quasi ci faccia apposta, ma non è così… Siamo solo noi che effettivamente ci siamo stancati di tutta questa situazione così orribile e stressante! Tuttavia proprio come dice la frase suddetta, il bene arriverà solamente con la consapevolezza che le rinunce di oggi serviranno per rendere il futuro migliore. Dovremmo essere più ottimisti ma, certe volte, dopo un periodo così lungo, anche le speranze cominciano ad affievolirsi e ci lasciano “in un buio totale”, proprio come avveniva anticamente… Durante il Medioevo. La storia ci insegna però che in realtà il Medioevo non è stato un periodo buio, ma tutto il contrario, e magari anche il 2020 sarà visto così in futuro! Forse tutti questi sacrifici che oggi stiamo facendo saranno ricompensati da qualcuno o da noi stessi, perché in fondo la pandemia ha lasciato una traccia così profonda nel nostro cuore che è quasi impossibile non aver imparato qualcosa.
Giacomo
La Storia è sempre stata piene di pandemie e di tragiche vicende avvenute non solo in Italia o in Europa; ma in tutto il mondo. Tuttavia dopo tali crisi l’essere umano è riuscito ad alzarsi anche più forte di prima.
Se prendiamo come esempio “LA PESTE MEDIEVALE” (la quale ha causato migliaia e migliaia di morti), dopo di essa ci fu il Rinascimento che (come suggerisce il nome stesso) rappresentò un momento di rinascita sociale ed economica.
E il covid-19 non è altro che “una versione molto ridimensionata della peste” che ha causato anche lui migliaia di morti se non milioni, ma in tutto il mondo (non come la peste che causò oltre 20 milioni di morti solo in Europa), quindi si può dire che anche qui ci sarà una rinascita, non solo in Europa, ma in tutto il mondo. Sempre sperando che per una rinascita “maggiore”, non debba esserci una crisi più pericolosa…
Tommaso
In quest’articolo il Rinascimento rappresenta una rinascita sia sociale sia economica dopo la pandemia causata dalla peste.
Ho scelto quest’articolo perché al giorno d’oggi siamo partecipi di un’altra pandemia ovvero Sars-CoV-2 (coronavirus/covid 19), anche questa sta causando una marea di morti. In questo caso questa malattia sembra essere partita dalla Cina più precisamente da Wuhan: finita la pandemia si spera che ci sia come nel Rinascimento, una ripartenza economica in Italia che sta attraversando un periodo molto difficile, ma anche nel resto del mondo. Per concludere, l’articolo mi è piaciuto e mi ha interessato a leggerlo fino alla fine anche perché rappresenta in parte la situazione al giorno d’oggi.